La colpa è di Razzi.  La colpa è di Razzi se riprendo a scrivere sulla Nord Korea.

Razzi è senza dubbio una punta di diamante, massima espressione dell’italianità nel mondo. Ebbene molto prima di Razzi, anche io ho avuto l’opportunità di collaborare con l’apparato governativo Nord Coreano. Non come spia e me ne dispiaccio, più prosaicamente mi era stato chiesto se mi interessava amministrare l’ufficio turistico, con sede in un quartiere  “vecchia Cina di Mao“, a Beijing.  Risposi di no, essendo troppo mongolizzato non colsi l’occasione. Molto dopo arrivò Razzi; si vede che videro in lui un qualcosa che mi appartiene.

A parte Razzi ricordo un profondo senso di pace Zen quando andai a visitare le  Tombe degli Antenati in una sperduta landa collinare tra prati arati ancora con il bue.

Non ho visto un solo trattore in Nord Korea.  Senso di pace più intenso di quello che ben conosco prodotto dal vento della Mongolia, più mistico di quello custodito dalle chiese rupestri etiopi a Korkor, più denso del profumo degli incensi bruciati nei templi del Buthan.  Più accogliente del nostos prodotto dal barocco monregalese da me rivisitato in tarda età.

Vado via da Pyongyang nuovamente in treno.

Un treno degno di un Ataman. Tutto è vietato sui treni della Nord Korea. I finestrini son bloccati e …. solo un attimo prima di varcare il confine cinese, ecco l’ultima grande rappresentazione degna di una Berlino Est del 1961.

Ufficiali giovanissimi, ti chiedono per l’ultima volta il passaporto che ti hanno riconsegnato altri funzionari appena due ore prima. Lo guardano come dovessero trovare un qualcosa di minimo, un piccolo frammento che non suoni armonico.  Un solo infimo particolare che possa permettergli di trattenerti.   Magnifico.

Mentre attendo il mio turno di fronte ai Torquemada asiatici, si ferma a fianco del mio un altro treno.  Stracolmo di soldati bambini.  Non avranno più di sedici anni.  Son marinai. Hanno il fazzoletto rosso e un cappello di forgia russa strepitoso: bianco con due falde blu scuro che scendono dietro, sul collo. Ragazzi e ragazze felici, semplicemente felici e senza pensieri.  Brutale il contrasto con i loro coetanei di Seul; pallidi fantasmi perennemente ingobbiti sui propri tablet.

Dove sta la felicità ?  Io per un attimo la ho potuta vedere in una piccola stazione del treno che dalla Nord Korea si appresta ad entrare in Manciuria. E la Manciuria è tutta un’altra cosa. 


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