“Nel pomeriggio di quel giorno giunsero a Urga le De Dion- Bouton.  Anche i loro passeggeri avevano subito nel deserto quel radicale mutamento di colore che trasformava le nostre facce, benché loro fossero protetti in marcia da una comoda tenda.  La Spyker era giunta ad Ude, avrebbe tardato ancora due giorni ad arrivare. 

Noi avevamo una preoccupazione che ci spronava alla partenza: il passaggio del fiume Iro, a 60 km circa al sud di Kiakhta. L’Iro è guadabile soltanto in epoche di siccità; basta una pioggia per trasformarlo in un ostacolo insormontabile“.

“Urga,  … gli appartamenti della banca russo-cinese erano tutti illuminati quella sera. La grande tavola apparecchiata nel salone, inondata dalla luce dei doppieri (candelabri a doppio braccio ), entrava solennemente in funzione. Il Comitato, in seduta plenaria, ci offriva un banchetto di gala“.
“…  ascoltavo la signora del capitano medico, mia vicina, la quale mi descriveva il suo viaggio da Kiakhta a Urga, e concludeva col dirmi : ”Non so come farete a passare con la vostra automobile“.  “Ma… siamo passati dal Gobi ! “. 

“Non conosco il Gobi grazie a Dio, ma vi ripeto che il cammino per Kiakhta è quanto di più orribile io abbia veduto in fatto di strade, e son stata in Manciuria! 
Pensate, quattro ore intere, quattro ore, presi nel fango, senza poter liberare il tarantas (carrozza russa chiusa per 4 passeggeri – simile a una barchetta di cuoio tra 4 ruote, una delle più solide e incomode vetture del mondo nella quale spesso si viaggia sdraiati sulla paglia … )  affondato, con la prospettiva di continuare la strada a piedi. Saremo stati a 10 verste (circa 10 km ) da Urga, ed era la quarta volta che affondavamo …“.

“La stagione era cattiva ? “ –  “Eccellente, come ora. Vedrete con i vostri occhi cosa è di spaventoso quel tragitto“. –  “Speriamo di no, signora“.         

Sorridevo con condiscendenza. Il racconto di quelle terribili avventure di viaggio mi lasciava abbastanza tranquillo. Non avrei mai creduto, in quel momento che la strada tra Urga e Kiakhta ci avrebbe fatto rimpiangere il Gobi“.

“Lasciammo la banca all’alba, con tutte le precauzioni atte a non risvegliare nessuno a quell’ora così dolce al sonno … Non eravamo in cammino da un quarto d’ora che l’automobile si fermò di colpo, e s’abbassò tutta a sinistra. – “ Ferma, ferma !“ – gridò Ettore vedendo che il turbinare della ruota scavava il fango. – “Affondiamo di più ! “. –   

Che cosa fare?  Come sollevare noi tre, 2000 kg di peso e trasportarli altrove?  
… ci dicevamo che Urga era vicina, a poco più di un’ora di cammino … ma non sapevamo deciderci ad andare a chiedere quell’aiuto.  Era una questione di amor proprio”.   
Luigi Barzini: Da Pechino a Parigi – 96 illustrazioni fotografiche –reimpressione de La metà del mondo vista da un’automobile.

L’amor proprio, chi frequenta deserti e steppe, impara subito a metterselo in saccoccia se si è impantanati. La prima regola sarebbe non impantanarsi. Facile a dirsi, negli anni ho imparato a dubitare di coloro che non si impantanano mai. Probabilmente usano il loro fuoristrada per andare a bere lo spritz, oppure considerano una strada poderale allo stesso livello del Taklamakan, mah …           
Tutti si piantano, neofiti ed esperti. Abili e imbranati, fortunati e non.   

La classe sta nel come ne esci.       
Se poi la tua professione è quella di attraversare per alcuni lustri e migliaia di chilometri il deserto, allora e solo allora, anche se sei di Cuneo, impari a osservare le sottigliezze, le stesse che deve saper vedere un paleontologo. Infatti si è già impantanati nel Gobi almeno  5 chilometri prima di girare a vuoto con le ruote nel fango,  mentre ancora ascolti i Genesis a tutto volume e il tuo Toyota sembra correre soffice come sul tappeto volante di Aladino.

È proprio la sensazione di marciare su un tappeto che dovrebbe farti abbandonare Phil Collins per farti incontrare Niki Lauda (buon’anima).  Il mitologico austriaco sintetizzava il mestiere del pilota con una frase: “Le auto si guidano con il culo“.  
Parole sante !   Valide anche nel Gobi.  

Contemporaneamente ai sensori delle chiappe, l’occhio inizia a scorgere che la macchina non fa più molta polvere al suo incedere, che la ghiaia si è fatta più rara e che il colore della superficie dell’argilla su cui stai viaggiando dal color rosa antico è diventato color amaranto.  È il tempo di fermare il Toyota.  Scesi, si tasta con una mano il terreno e dallo spessore della crosta superficiale contrapposto  alla plasticità dell’argilla sottostante, si riesce a valutare con margine di  errore minimo a che distanza inizia la zona in cui si trova il Circo Togni di quelli infangati fino alle orecchie, locali mongoli compresi.

Eh si, si piantano pure loro, anzi diciamola tutta: son maestri nel piantarsi nel fango.  Posseggono, loro, un’arma potentissima di cui noi occidentali siamo pressoché sprovvisti: la pazienza. 
I Mongoli sanno che ne usciranno, è solo questione di tempo. Tempo che ogni occidentale non possiede.  

Concludendo possiamo dire che i nostri tre eroi hanno peccato di Hybris.  Se quella sera a cena Barzini fosse stato seduto vicino ad Omero,  sarebbe stato avvertito circa la Hybris .

Infine, alla signora moglie dell’ufficiale medico si sarebbe dovuto concedere maggior credito, ella infatti informò Barzini che era transitata attraverso la Manciuria. Chi è passato per la Manciuria conosce tutto del fango.


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