“ Col progredire del giorno il calore aumentava. Il sole, sorto alla nostra destra dopo averci girato alle spalle, cominciò a sferzarci dalla sinistra. Alla partenza da Pechino io avevo disprezzato l’elmo di sughero del quale il principe ed Ettore si erano forniti, e sfidavo gli ardori del Gobi con la modesta protezione di un cappello di Panama, la cui falda si sollevava tutta sulla mia fronte per effetto della velocità scoprendomi completamente il viso. In poche ore il sole ci trasformò in maschere grottesche, ed io, ahimè, fui la più grottesca. I volti ci divennero di un rosso vivo gonfiandosi, e doloravano; non potevamo sopportarvi nemmeno il leggero contatto del fazzoletto. Avevamo l’impressione di subire un lento processo di cottura”.
(Da Pechino a Parigi – 96 illustrazioni fotografiche -reimpressione de La metà del mondo vista da un’automobile. – Luigi Barzini).

Aeroporto Cinghis Khaan. Stiamo attendendo il volo da Mosca che ci porta ben tre paleontologi norvegesi che dovremo recapitare a visionare le falesie di UlaanTsaav e di seguito anche quelle di KermenTsaav. Il nostro lavoro consisterà nel portarli in loco, sfamarli, dissetarli, dar loro una base provvista di luce e corrente elettrica per i cellulari, indicare loro i posti migliori per i tartufi, pardon, fossili e possibilmente riportarli 20 giorni dopo tutti e tre all’aeroporto. Sukhee attende con il classico foglio A4 lo sbarco dei luminari. Eccoli. Giovani sui trenta, trentacinque. Alti, molto alti. Magri, biondi e pallidi. Fin qui nulla da dire. Osservo distaccato l’abbigliamento e mi accorgo che qualcosa scricchiola. Sono vestiti come nell’action movie “Man in black“.

Giacca attillata e pantalone assolutamente neri, camicia bianca e ….. cosa che per un paleontologo della vecchia scuola incarna l’anticristo: la cravatta.
“Mah“ – penso – “… ho perso i contatti con la moda a star sempre in luoghi sperduti, adesso i giovani si vestono così. Mah“.
Va detto che un gran pregio lo posseggono e lo mostrano subito: sono poco loquaci, caratteristica molto apprezzata. Bene, terminati i salamelecchi di rito ci imbarchiamo e puntiamo la prua dei Toyota a sud/ sud-ovest. La giornata prevede circa 200 chilometri di asfalto ruvido e bucherellato ad arte a cui sommare un bel trecento km di steppa verde e così liscia che si fanno anche i 120 all’ora. Polvere quanta ne basta. I tre men in black viaggiano con me e Sukhee nella auto bianca, ci segue solitario Zorigoo con quella nera carica di attrezzature, ricambi, taniche, gruppo elettrogeno, saldatore e tutto quello che l’allegro campeggiatore del Gobi necessita.

Leggendo della sofferenza di Barzini e soci quasi mi vergogno della birra nel frigo sulla Toyota nera. Son passati cento anni, qualcosa sarà pur migliorato? Silenzio sull’asfalto, silenzio al primo pranzo a base di montone nella guanz dove donne e bambini sono venuti a vedere i tre elegantoni in nero. Silenzio anche nella steppa, mi piacciono questi giovani! Sanno il fatto loro, neanche una domanda, nemmeno un dubbio o una perplessità. Passa la prima notte ai bordi del deserto. Colazione al levar del sole. I tre si presentano vestiti come se fossimo a Miami. Canottiera con camicia pseudo hawaiana aperta e pantalone a vita bassa il primo. Segue il secondo con tuta in triacetato che era dall‘85 che non ne vedevo una. Colori psichedelici cangianti a seconda della luce. Infine, il terzo quasi tutto corretto per il deserto, ma con i mocassini ! Si, avete letto bene: mocassini. I due mongoli imperturbabili, io ho iniziato a preoccuparmi. “Ma, non avete un abbigliamento per lavorare nel deserto, niente in testa ? “ – chiedo- “Non ti preoccupare – mi dicono – “ Abbiamo già fatto spedizioni in Scozia la scorsa estate e poi siamo stati in Islanda, in Texas e pure in Argentina“. Mah.


Al terzo giorno erano bolliti come Barzini, forse anche di più. Han sofferto stoicamente l’iniziazione al Gobi, va dato loro merito. Quello con i mocassini, sebbene giovine, presentava una avanzata stempiatura accompagnata da una messa in piazza posteriore circoscritta da peletti biondi da cherubino. Al terzo giorno gli si era formata sul centro della capoccia una cresta sagittale molto simile a quella del cranio di Australopithecus Boisei.


Per chi fosse interessato alle creste sagittali potrà osservarne una al Museo di Scienze Nat. di Milano oppure presso il Bardo a Tunisi, oppure ancora presso il Museo senza tempo dell’Asmara per non parlare di quella di Lucy in Addis Abeba.
L’anno dopo, sono sbarcati a Ulaanbaatar meglio equipaggiati dei Marines a Okinawa. Mi sono affezionato a loro. Come paleontologi, poi, non erano niente male.
