Vladivostok è il punto d’inizio, non è l’arrivo. È una questione di principio, infatti nel 1891 è qui che lo Zar Nicola (al tempo Zarevic), di ritorno dal Giappone posò il primo mattone.




Arrivare a Vladivostok in Transiberiana in pieno inverno è pari solo ad arrivare a Venezia ad inizio primavera. Col Frecciarossa o con Italo? Direi il secondo, anche solo per l’assonanza del nome con l’auto Itala che sta accompagnando il nostro viaggio.
A Vladivostok ci potrei vivere. L’atmosfera plumbea che solo i militari di guarnigione riescono magistralmente a creare, oggi è totalmente svanita.
La fortezza installata nel 1922 nel golfo naturale che ad alcuni amanti della vodka ha ricordato il Corno d’Oro è sfumata via, lasciando i sommergibili nucleari ad arrugginire placidamente alla fonda nel porto.


La città, top secret fino al 1992 per ogni occidentale, oggi ride.
Ride e se ne fotte del vento che ghiaccia tutto con grande professionalità. Ride perché è giovane e senza pensieri. Vi transita una umanità internazionale molto variegata.
Tonnellate di giovani sud coreani con mobile incorporato e lunghi piumini colorati dal taglio simile al paltò dello zio Fester. Quintali di giapponesi anzianotti, dall’incedere tipicamente rigido e paludati con i migliori indumenti outdoor da freddo di tutta l’Asia. E io che credevo di essere il più elegante! E poi i russi locali. Qui son tutti giovani e belli, soprattutto le donne, strano che i lumaconi italici non ne abbiano ancora avuto nota. Gli uomini palestrati a dovere mostrano ancore e nodi di antichi splendori marinareschi sugli avambracci mentre salgono sulle loro Porsche Cayenne assolutamente bianche o nere.
Hanno pure una squadra di calcio! Il logo mostra una tigre siberiana, i colori credo siano il giallo e verde, ma non son sicuro. Di certo è che han un brasiliano nella rosa.
La cosa che più amo assieme al sommergibile verde del 1940 messo a secco, sono i bistrot di Vladivostok. Vi si respira un’aria universitaria di spensieratezza e studio.


Ce ne è pure uno che ha il caffè Illy, cosa volete di più.
Se vi prende la saudade andate a mangiarvi due granchi con il “Ronaldo” di Vladivostok e passa tutto.

