“ Al pozzo di Pong-Kiong eravamo aspettati. Il piccolo telegrafista cinese al quale è affidata quella stazione, è venuto fuori del recinto e ci ha ricevuto con grandi dimostrazioni di contentezza.  Deploro di non ricordare il nome di questo eroe che vive nel deserto per permettere all’ Occidente e all’Oriente di parlare tra loro. La città più vicina Kalgan, è a quasi 300 kilometri. Urga è a 800. Qualunque cosa accada a quell’uomo, egli non può fuggire.  L’immensità dello spazio equivale a una prigione. Per riunirsi all’umanità egli deve viaggiare otto giorni, da pozzo a pozzo. Nessuno può soccorrerlo. L’isolamento del carcerato in una cella di fortezza non è così assoluto e terribile; gli arrivano echi a cui associare i suoi pensieri. Per lunghe ore s’immerge nel tic-tac dei tasti e dei ricevitori e ascolta in esso voci di mondi lontani: parla Pietroburgo, parla Londra, parla Tokyo. Egli trasmette: passano notizie, ordini, misteriose comunicazioni diplomatiche, parole di passione. Quando la grandiosa conversazione dei continenti si estingue, il telegrafista profitta della linea sgombra, e s’inizia allora una conversazione più modesta. Sono gli uffici del deserto che si salutano, che raccontano i piccoli incidenti della giornata, le loro noie, le loro speranze. Tali colloqui rappresentano il giornale di quei solitari “.   
Da Pechino a Parigi – 96 illustrazioni fotografiche -reimpressione de La metà del mondo vista da un’automobile.  – Luigi Barzini –

Non sono mai stato bravo a ricordare i numeri. Tutte le volte che attraverso il Taklimakan alla prima casetta con tetto in lamiera rosso e numero dipinto in bianco sul muro celeste cerco di ricordare quante siano prima di arrivare a sud, all’ultima, poco prima di Minfeng, a circa 560 chilometri di distanza. Sono tutte uguali le casette cantoniere che, come granì di un mala, (simil rosario buddista ) punteggiano l’asfalto aggredito dalle dune ogni giorno da quando l’apparato statale dell’attuale celeste impero ha deciso di tagliare in due il deserto da Korla  a Minfeng. 

Son tutti uguali i cantonieri del Taklamakan.  Marito e moglie, non più giovani, non ancora vecchi. Mani e denti contadini, arrivano da lontano per combattere il deserto. La miseria e la malora sono il motivo della fuga ad ogni costo dal luogo in cui son nati.  La magnanimità dell’impero si evidenzia nell’elargizione di una bicicletta nero lucido con freni a bacchetta modello Chiang Kai Schek, le divise nero inchiostro da cantonieri imperiali, le scarpe di tela nero opaco con suola di corda e pure due sgabelli di vario colore, un tavolo e la sempiterna TV a colori sbiaditi. 

Tutta questa magnificenza esibita in una stanza di non più di 4 metri quadri, perché la stanza migliore, quella grande, è occupata, giustamente, dalla pompa che tira su l’acqua dalle profondità del deserto e dal gruppo elettrogeno che gli dà vita. In cambio di questo lavoro retribuito mensilmente con precisione assoluta, i due cantonieri si impegnano a non aver figli, pena la perdita di tutto: bicicletta, tetto rosso, futuro. 

Il lavoro di lui consiste nel piantare in continuazione le canne che provengono dal non lontano lago Bosten nei pressi di Korla.  Lago di acque basse, zanzare e aironi. 

Con le canne disegna quadrati di circa due metri di lato. Due, tre, quattro strisce di quadrati di canne per circa 5 km verso sud partendo dalla casetta celeste, larghezza di ogni striscia circa 4 metri.  Su entrambi i lati della strada.  Se si volta a nord può vedere arrivare le strisce della casetta celeste uguale alla sua ma con un numero inferiore. All’interno dei quadrati di canne vanno piantumate e irrigate diverse specie di arbusti resistenti alla furia e all’usura del deserto. Lei invece prende la bicicletta e una scopa fatta di rami di saggina e spazza il bordo dell’asfalto arrivando alla casetta azzurra più a sud, quella con il numero più alto della sua. Ritornerà a casa spazzando l’altro lato della strada.  Così fan tutti i cantonieri delle celesti casette, tutti i giorni, per sempre, finché ce la fanno, prima che il sole si alzi troppo e diventi assassino.  Prigionieri stipendiati dell’immensità, nei loro occhi si legge il deserto, sono loro il deserto. Sono diventati deserto.


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