“Non lontano dalla foce del Tschiko ritrovammo la Selenga, ampia, dalle acque bianche e lattiginose, fiancheggiata da un rigoglio di cespugli curvi sull’acqua. Sulla riva un piccolo gruppo d’isbe aveva l’aria di prepararsi al guado per raggiungere Novi-Selenginsk, della quale vedevamo la chiesa bianca levare il suo campanile al di sopra degli alberi, a poche verste da noi. 

Lì era il luogo d’imbarco. 

Sul fiume avanzava una piccola impalcatura fatta con tavole schiodate. Mettemmo piede a terra. La barca era dall’altra parte del fiume, ove aveva trasportato una telega che in quel momento si allontanava fra gli arbusti.

Due vecchi dalla barba e le sopracciglia folte e arruffate, si avvicinarono, seguiti da alcune bambine scalze che ci guardavano timorose e fuggivano al nostro appressarsi.  

Uno dei vecchi ci chiese:

— Volete attraversare?

— Sì. La barca può portarci?

— Quanto pesa il vostro carro?

— Centoventi pud ( antica unità di misura legata al grano).

— È molto. Ma vi porta; purché il vostro carro entri nella barca.

Come condurvela? A braccia o col motore? L’impalcatura avrebbe resistito al peso? Allora questi problemi ci apparivano molto gravi: eravamo alla nostra prima manovra navale.

Ettore prese il volante, fece retrocedere l’automobile e si preparò a far passare le ruote nei punti che il Principe gli aveva segnato sulle tavole …

— Pronto? Avanti! — disse Borghese.

L’automobile partì, salì sull’impalcatura, che si scosse tutta. Le tavole si piegarono, e, passate le ruote, scattarono come molle. 

Le ruote anteriori s’inoltrarono nella chiatta…

… le ruote posteriori si imbarcarono, e il battello ritornò orizzontale, un po’ più basso sull’acqua ma in perfetto equilibrio. 

Al momento in cui l’automobile entrava tutta a bordo, i russi mandarono un grido di spavento. Vedendola avanzare di sbalzo avevano creduto che non potesse più trattenere il suo impeto e precipitasse dall’altra parte. 

 … nel seguito del viaggio gl’incidenti di questo genere non c’impressionarono più; ci abituammo ai pontili malfermi, alle vecchie barche sconnesse, alle audacie esatte dell’automobile“.  
Luigi Barzini: Da Pechino a Parigi – 96 illustrazioni fotografiche –reimpressione de La metà del mondo vista da un’automobile.

Mille anni fa, quando la Mongolia non conosceva l’asfalto, quando da Moron si andava a Erdenet si passava sul ponte di barche. Si trovava pochi chilometri dopo, nel distretto di Tosoncéngel, deviazione verso sud ed eccolo nascosto da un boschetto. Qui, il Selenge Moron fa una ampia ansa e la corrente si fa forte, mette una certa agitazione vedere la forza del fiume in quel punto.  Qui aspettava le nostre Toyota il ponte verde rana e ruggine fatto da pontieri dell’armata rossa.  Due sole auto poteva contenere e traghettare. Testimone arrugginito di una Mongolia sovietica.  


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