“… Quella via ha una importanza religiosa: per essa è disceso il Lamaismo. Dal cuore dell’Asia, sorgente di religioni, delle onde di devozione sono colate per quelle valli a trascinare anime cinesi a nuovi culti.
Non è raro incontrarvi strani personaggi.
Il principe Borghese si era imbattuto, alcuni giorni prima, per quei luoghi, in un penitente dalla testa rasa, dalla lunga tunica grigia, il quale percorreva la via orando e genuflettendosi a baciare la terra ogni tre passi, regolarmente.
Si informò di lui.
Il pellegrino era diretto a Urga, alla città santa: avrebbe in quel modo attraversato la Mongolia e il deserto del Gobi.
Avrebbe percorso mille e trecento km baciando il suolo ogni tre passi.
Le popolazioni sono ospitali e pietose verso questi stravaganti pellegrini, i quali alla sera interrompono il loro lavoro, depongono una grossa pietra sul punto a cui sono arrivati e vanno al più vicino villaggio a riposarsi della santità.
Ci venne fatto di pensare che anche noi, dopo tutto, stavamo compiendo uno strano pellegrinaggio.
… se l’uomo dei tre passi, alla sua volta, avesse fatto chiedere al principe la ragione del suo viaggio, udendola si sarebbe certo meravigliato profondamente, nella sua saggezza”.
(Barzini L., Da Pechino a Parigi – 96 illustrazioni fotografiche –reimpressione de La metà del mondo vista da un’automobile).

Monastero di Xia’he: seguo con lo sguardo un Lama dal mantello rosso e berretto giallo che sfugge con abile agilità all’obiettivo della mia Nikon dandomi sempre le spalle, quando vedo spuntare dietro uno spigolo di muro porpora un paio di gutal.
I gutal sono i tipici stivali del cavaliere mongolo; la leggenda dice che chi li compra dovrà ammorbidirne la durezza durante l’arco della vita per poi passarli al figlio che farà lo stesso.
Sarà il nipote a godersi la morbidezza dello stivale dopo 25/30 anni di utilizzo quotidiano.
Altro che i Lord inglesi e le loro Church’s, passate in comodato d’uso al maggiordomo con ugual piede del padrone affinché le ammorbidisca.
Il gutal è come la Torre di Pisa.
È un simbolo.
Se lo vedi sai dove sei, ma qui siamo a 2000 km più o meno da dove dovrebbero essere questi stivali.

È come trovare la Torre di Pisa a Copenhagen.
Qualcuno di voi noterà che un paio di stivali sono più mobili di un campanile di marmo, effettivamente avete ragione,
Il fatto sta che, comunque sia, per me è stata una sorpresa.
Volto l’angolo e trovo il proprietario degli stivali in una tipica postura mongola: sbracato.
Sbracato in maniera direi professionale, nemmeno un soldato a cui mancano tre giorni alla fine della naja sarebbe riuscito neanche lontanamente a raggiungere un tale livello di sbracatura.
Il padrone dei gutal è tozzo, ha un testone abbronzato, e sta appoggiato al muro come se fosse parte di esso.
Se avessi incontrato uno di Mondovì probabilmente sarei rimasto meno sorpreso.
Era ora il mio turno di sorprendere; il ”mongoliano“ (copyright di Zorigoo ) mi degna di uno sguardo assente e di sufficienza, di quelli che si utilizzano con i turisti fotografi, quelli che stanno sempre sul punto di fare la foto della vita e scassano i marroni ai locali.
“ öglööni mend, naiz aa, minii ner Marco. Bi julchin bisch “-
“ buongiorno amico, mi chiamo Marco. Non sono un turista “.
Buum !!! Come un fante sorpreso dalla ronda, il massiccio padrone dei gutal è scattato come se avesse preso la scossa.
Con lui si leva anche mezzo quintale di polvere mentre mi chiede se sono Russo. Quasi sempre confermo.
Son abituato, mi è già capitato un milione di volte, il fatto è che in questi luoghi dell’Italia conoscono solo tre cose : il commissario Cattani della Piovra, serie tv del 1984 che devono aver trasmesso giorno e notte e che ha ben cementato nella testa di chiunque a queste longitudini il binomio Italiano = Mafia, il bunga bunga che ha fissato per i secoli a venire il binomio Italiano = Puttaniere e Gattuso il calciatore.
Circa Gattuso non sono ancora riuscito a trovare una ragione plausibile, ma ci sarà sicuramente.
Quindi, in Asia, quando mi chiedono se sono Russo, rispondo quasi sempre di sì. Come se i Russi circa mafia e mignotte fossero dei principianti !
Ma tant’è, meglio lasciar fluire.
Il mio nuovo amico mongolico arriva da Ulaanbaatar, abita nei pressi del Bombogor Market per la precisione, scopro che siamo concittadini. Io abito a Zaisan, vicino al monumento russo e al nuovo Buddha .

Lui, che si chiama manco a dirlo Baatar, è arrivato al nostro incontro karmatico all’angolo del muro a piedi. Ci ha messo quasi un anno.
Mi pare tanto, anche se, chi son io per giudicare?
Poi vedo che porta delle ginocchiere di cuoio simili a quelle di Cudicini, portiere di un Milan di trent’anni prima di Gattuso.
Il Milan di Prati, Rivera, Schnellinger, Lodetti e del mitico Trap.
Baatar aveva le ginocchiere di Cudicini perché se l’era fatta da Ulaanbaatar a Xia’he con le prostrazioni ! Eh si! Significa che fai tre passi poi ti inginocchi, tocchi terra con i gomiti e poi con la testa e ti rialzi. E fai un altro passo.
Baatar in mongolo significa eroe, niente da dire.
No, non sono del Milan.