Da tempi immemori nelle steppe il cappello e il coltello dell’uomo che gli Dei ti hanno messo sul cammino, ti dicono che tipo di persona stai incontrando.

Il cappello lo vedi da lontano, se sei a cavallo. Se sei su un Toyota non vedi più niente di quello che conta, ti illudi solamente. Da lontano riesci a capire chiaramente se il tizio che si avvicina è tanguto o kirghiso, kalka o di Govone, vicino ad Alba. Hai tempo per deviare se non ti aggrada l’incontro, non si offende nessuno.
Dal coltello capisci di che forza è.  Dalla sua sella comprendi il lignaggio, dal cavallo quanto è ricco. 

Dalla sua tabacchiera avrai la conferma di tutto.  Senza dire una parola, senza far domande scambi il tuo tabacco e un estraneo si trasforma quasi in un fratello.  Magia delle steppe. 

Il cappello e il coltello mi riportano nello Xinijiang.   Qui si fanno coltelli dai tempi di Aladino, amo quelli fatti a unghia di dinosauro T-Rex, che qui chiamiamo Tarbosaurus Maleevi.  Ce ne sono migliaia che dormono sotto la coperta di arenaria mesozoica rossa del Gobi come sotto quella giallo cenere di suo cugino: il Taklimakan.

Il cappello a Turpan come a Minfeng si chiama Doppa.  Si posiziona sulla zucca esattamente sulle ossa parietali, non deve mai sbordare sul frontale e solamente sfiorare l’occipite. Se sei giovane avrà colori vivaci, se stai diventando vecchio, avrai tutte le sfumature del grigio che portano al nero e ricami d’argento.


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