“ … quando la nostra attenzione è stata attirata dal sollevarsi di una gran nuvola di polvere dalla parte di Hsin-wa-fu.  Poco dopo ci siamo accorti che essa veniva dal galoppo di cavalieri.  Si avvicinava rapidamente. Era composto da cinesi d’ogni condizione, a giudicare dai vestiti.   

Appressatisi,  tutti si son fermati, senza prendersi nemmeno il disturbo di salutarci, ci hanno osservato attentamente per qualche minuto con evidente malcontento, poi han voltato i cavalli e se ne son andati via, a briglia sciolta.

Non sapevamo spiegarci il fenomeno di quella manovra equestre.

“Ma che volevano?“.  
“Volere vedere correre automobile, automobile non correre, tutti andare via non contenti“.   … no, in verità non avevano torto a mostrarsi profondamente disgustati di noi.

Altre volte l’automobile si è fermata e la gente ha fatto cerchio. Non v’era modo di allontanarli. Che volete, lassù vedono gli europei così raramente che non hanno avuto modo di conoscerli bene; perciò non li odiano.

Avevamo un pubblico benigno e paziente. S’interessava ai nostri indumenti, ci ammirava dal cappello alle scarpe, sorrideva al suono delle nostre parole, e aspettava. Aspettava qualche prodigioso avvenimento degno di esseri che passano per prodigiosi; per di più i nostri coolies (portatori cinesi) parlavano alla folla delle meraviglie del chi-cho ( automobile )“. 
(Barzini L., Da Pechino a Parigi – 96 illustrazioni fotografiche –reimpressione de La metà del mondo vista da un’automobile).

Effettivamente i primi anni succedeva anche a me, solitamente quando andavamo molto a ovest e meglio ancora a est di Ulaanbaatar. Come in Etiopia, meno nella più intelligente Eritrea, i miei occhiali da sole suscitavano meraviglia et stupore. Non ho mai capito bene se fossero veramente gli occhiali oppure il naso che li sorreggeva.  Probabilmente era il mix che creava intenso interesse.

Poi… sono arrivate le copie dei Rayban dalla risvegliata Cina e tonnellate di nasoni dall’Occidente ed io, i miei occhiali e il mio naso siamo finiti nella polvere. Circa il disgusto, direi più disapprovazione, ne son stato oggetto i primi tempi a causa del volume della mia voce e dell’agitare le mani tipico di noi Italiani.

In Mongolia sputano per terra senza alcun problema ovunque, però guai a te se alzi la voce. Può capitare che si inizi una frase ad un volume urbano ma poi la si termini sottovoce. Se poi si sta parlando con una donna sconosciuta, questa oltre ad abbassare il volume per creanza si mette pure una mano davanti alla bocca. Tu che sei straniero e già fatichi del tuo col mongolo, potrai apprezzare la squisita educazione, ma non capirai mai un tubo di cosa cavolo si stesse discutendo.    


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