Yadam: da quando non c’è più faccio fatica a scrivere di lui. Al contrario, è molto spesso nei miei pensieri.

Yadam, gigante silenzioso.    

Ho deciso di pubblicare quanto scritto nel febbraio del 2018:

“Amici, vi comunico ufficialmente che sono diventato vecchio.   

È successo all’improvviso, mi ha colpito come un pugno  nello stomaco, un iceberg nella lamiera apparentemente invincibile del mio Titanic.

I segnali erano già ben evidenti da alcuni anni: la pastiglia per la pressione, la metamorfosi delle auto in tablet con le ruote, un nuovo interesse verso il modellismo navale … ( scherzo, su quest’ultimo scherzo – prima devo ancora passare dalla fase bicicletta).

Mi illudevo, meschino Faust delle piane asiatiche che il Tempo per me facesse una eccezione! 

Se devo essere onesto ammetto che diverse deroghe e molti condoni mi sono stati concessi. Poi, 

… il tifone deve arrivare ed è meglio che sia violento. Il più violento possibile“ (J. Conrad).

E una liquida mattina di febbraio il tifone è giunto.

Un cablogramma moderno detto email mi urlava in faccia che Yadam, mio amico e Maestro era scivolato via in un giorno di ordinario inquinamento a Ulaan Baatar.

“ Come…  è morto !?  Senza nemmeno dire niente ?  Senza nemmeno esser malato almeno un paio di mesi? … non si fa cosi!  “ –   “ Non si fa così …”  mi ripetevo come un ebete seduto sul divano rosso con gatto nero di casa mia a Torino – Italia.

Della prima ciurma con cui ho addentato le steppe non c’è più nessuno.
Mi viene in mente un corto di Kurosawa, “Il ritorno a casa“ dove il protagonista torna dalla guerra e della sua Compagnia son rimasti solo i fantasmi.

Sono passati nove mesi e il mio stato d’animo non è cambiato.   

Anzi, giunto in Mongolia mi sono accorto che Sukhee, il mio giovane braccio destro è dieci anni, dico dieci, che lavora con me.

Prima di lui è stata l’epopea di Monkhoo, un fratello, con cui abbiamo tracciato rotte nel Gobi, trovato dinosauri, saldato (loro) Toyota primitive.     

E in tutto questo tempo, come un Totem silenzioso assieme a me, a noi: Yadam.

Un Illuminato, ha vigilato su noi tutti con la calma della Consapevolezza.

L’anno prossimo fanno venti anni. Venti anni, una vita.  

Ora sono io il più vecchio della Compagnia.   

Come il tenente Drogo del “Deserto dei Tartari“ dell’immenso Buzzati, anche io preso dalla mia fortezza Bastiani, non mi sono accorto che il tempo era passato, che il mondo come lo volevo io è irrimediabilmente svanito, si è semplicemente disciolto.

I Tartari sono arrivati.  

Ed io, al contrario del Tenente Drogo, a forza di stare con loro sono diventato uno di loro. 

Tempus fugit.   

Gli anni che terminano con il numero otto, ormai lo so bene, mi portano novità.  

Non sempre belle, a volte è arrivata roba spinosa oppure appiccicosa che ha avuto la capacità di influenzare anche gli anni con lo zero e l’uno. 

È di nuovo arrivato il momento di cambiare 

… come gli insetti anche noi umani siamo soggetti alle metamorfosi “ (F. Kafka)   

D’altronde anche i Mahakala, gli Spiriti guerrieri che mi aspettano ad ogni mio giro nei templi di Erdene Zuu e di Gandan, per non parlare di quelli del Choijin Lama, da molto tempo mi stavano indicando il quinto teschio.   

mahakala

La corona con cinque teschi in argento dei Mahakala ci ricorda che abbiamo ben cinque possibilità di poter cambiare la nostra vita; da tempo ero fermo alla quarta.   

Le prime sono arrivate veloci e spietate come onde di un mare che non si conosce e ti sbatte sugli scogli. Le seguenti le ho surfate e ringrazio gli Dei per il regalo. L’ultima me la voglio giocare con la calma di uno dei bari del  famoso dipinto di Caravaggio.

Cambiare, sciogliersi, annullarsi, scomporre i propri pensieri et desideri.

Lasciare scivolare via brandelli di emozioni, osservare con distacco i ricordi di luoghi e genti con cui si è condiviso un pezzo di mondo, un grammo di anima. Non è mica facile ragazzi!!  

I miei cambiamenti sono più simili a quelli di un crostaceo che a quelli di un quieto ed etereo bonzo.  

Il carapace nuovo spinge e spezza quello vecchio a cui sei affezionato, a cui ti eri appena abituato; la stessa cosa dei telefonini che mi rifila mia figlia quando decide di cambiare il suo. Per “il mio bene” mi ritrovo in mano un aggeggio sconosciuto di cui non sentivo la necessità e che pare sia stato registrato per rompermi le palle.

Ma questa volta è diverso. Questa volta il telefonino ha pochi tasti grandi e fa solo telefonate, nessuna cazzata da scaricare, taggare o altre funzioni che neanche so pronunciare.

Modus in rebus.

Via gli orpelli, via le sovrastrutture, via gli zaini pesanti. Il pensiero deve farsi sempre più circolare, si deve chiudere il cerchio.  

Il Cercatore (copyright del Chiarissimo Prof. Beppe Vercelli) non cerca più.

Si ferma.  Attende.  

Un senso di pace interiore e di completezza plasmabile mi avvolge come chi stando nelle nebbie scorge un minuscolo sbrego nel grigio uniforme e dietro, ancora, il sole.

L’ultimo dono di Yadam: mi ha ceduto in comodato d’uso una manciata di Consapevolezza.

Dono assai prezioso, da non disperdere, da utilizzare con mestiere.

Mestiere è sempre stata per me una parola bella; la ho sempre preferita a lavoro.

Mi pare fosse Lao Tze … L’ abilità, il mestiere di un uomo lo si può vedere in ogni suo gesto, nelle sue parole, da come cammina.

Ho deciso quindi di iniziare la Via del mio 5° teschio. Prima mossa è stata quella di comunicarlo alla mia truppa asiatica.

Il filosofo positivista Comte fa dire al suo Don Giovanni “decido di non decidere!!“.

E io ho fatto lo stesso.   

La prossima stagione non prenderò più nessuna decisione in Mongolia, faccio mio il ruolo lasciato vacante da Yadam.

Sicuramente sarò un Yadam di serie B,  la sua buddità io non la raggiungerò mai, ma così è ormai scritto.

Se avevo qualcosa da insegnare, lo hanno imparato. 

Ora la  forma della Compagnia cambierà nei prossimi anni e avrà sempre più marcata la firma di Sukhee, Subo, Zorigoo, Ariuntuya, Misheel, ecc…

E io?  Io continuerò a stare nel mio deserto, semplicemente in modo diverso.

E poi?  Semplicemente seguirò il mio Mestiere accettando nuovamente la mia vecchia sfida.

Fare ciò che altri non sentono, non vedono.

A prima vista sembra un gran bel Karma. Ma se poi si vuole praticarlo, presto ci si accorge che è duretto da masticare e con diverse spine.

Occorre prepararsi a non essere capito, a non esser creduto, a esser considerato un sognatore e spesso anche un po’ coglione.   

Ma la cosa peggiore è quando, poi, il tempo passa e ciò che uno solo vedeva, lo vedono tutti….  nessuno, ma proprio nessuno ti riconoscerà la paternità della “visione“.

Ho imparato da tempo a convivere col mio Karma, lo mastico con calma e sputo quasi tutte le spine.   

In attesa che Sukhee inizi ad avere qualche capello bianco e Misheel impari il bolognese e a tirare la pasta allo stato dell’Arte, così da accorgersi quanto sia complesso il cervello degli italiani.

Allora il mio cerchio potrà considerarsi chiuso.


Se questo articolo ti è piaciuto, condividilo