L’Itala aveva fatto delle prove a Pechino fuori dalla Porta Est, sulla strada del Palazzo d’Estate, era poi rientrata nel cortile della Legazione Italiana, sotto lo sguardo attento del meccanico Ettore Guizzardi.

Terzo compagno di viaggio di Barzini e Borghese, costui merita una descrizione accurata, in quanto la sua Arte risulterà più volte salvifica e il suo atteggiamento mentale si rivelerà molto simile, per imperturbabilità, a quello di un bonzo dello Shangri-La di Orizzonte Perduto (J.Hilton, 1933). Libro, a mio avviso, zeppo di punti GPS onirici, forse ci capiterà di parlarne più in là.

da Luigi Barzini: Da Pechino a Parigi – 96 illustrazioni fotografiche –reimpressione de La metà del mondo vista da un’automobile.

“ .. egli lucidava, ungeva, verificava, le girava attorno osservandola da ogni parte, come lo scultore gira intorno alla sua creazione.
Egli non è uno chauffeur per professione, è uno chauffeur per istinto.
Ha dalla nascita intimità con le macchine; le comprende subito, di qualunque genere esse siano; le giudica ad una occhiata, come l’allevatore giudica il cavallo.

Un giorno, dieci anni or sono, vicino ad una villa del principe Borghese, presso Roma, avvenne un incidente ferroviario. Una locomotiva deviò e si rovesciò, capovolgendosi.

Il principe accorse, trovarono il macchinista morto, il fuochista, un giovane di quindici anni, ferito al viso. Il giovane era Ettore, il morto, suo padre. Quando Ettore fu guarito, il principe gli offrì di rimanere e ne fece un autista.

Fu mandato a studiare meccanica, lavorò alla FIAT a Torino, alla Ansaldo a Genova, poi in altri opifici, si conquistò la patente di meccanico e tornò alle automobili del Principe.

Da allora, undici automobili hanno subito la sua signoria.

… perché Ettore inventa, modifica, applica nuovi apparecchi alle automobili.

È pieno di risorse, sa trovare un rimedio immediato ad ogni male delle sue macchine.

Sempre pronto col martello e col cervello.

Agisce in silenzio, rapido, con fare militaresco.

Ha un corpo e un viso da bersagliere. La prima volta che lo vidi era sdraiato sotto la Itala, supino, immobile con le braccia conserte.

Credetti stesse lavorando.

Poi, in viaggio, mi sono accorto che quella è una delle sue posizioni favorite.  

Si sdraia sotto l’automobile e la contempla, bullone per bullone, pezzo per pezzo, vite per vite.   E si intrattiene a lungo in quegli strani colloqui con la sua macchina.”  

Chi viaggia per deserti deve ad ogni costo procurarsi l’opera, il rispetto e, se fortunato, l’amicizia di tizi come Ettore:

Monkhoo, Yadam, Sukhee, i miei tre “Ettore”.

In nomen omen ! Il destino nel nome!

Quasi sicuramente i “miei Ettori” mongoli e l’Ettore italiano non erano consapevoli di possedere i medesimi meccanismi interiori che caratterizzavano il loro omonimo e ben più famoso Ettore.

L’Ettore cantato da Omero.

Aidos, colonna portante della cultura greca antica, oggi sepolta con altre come la Filoxenia da spessi strati di menefreghismo e individualismo.  

Sarebbe quasi ora di farle riemergere.

Aidos, tradotto male da un ginnasiale distratto da TikTok, potrebbe anche intendersi come una sorta di vergogna, una vergogna, diciamo, assai etica: quella di non essere al livello delle aspettative di coloro che costituiscono il tuo mondo, la tua tribù, la tua ciurma.

Filoxenia in Occidente la si traduce con accoglienza, in Occidente ne abbiamo scolorito la importanza. Più ci si addentra verso le piane dell’Est e più se ne riscopre il significato originale, potente; si tratta di accogliere chi arriva senza appuntamento e incrocia il tuo cammino, si tratta di accogliere altri pensieri, di non metterli in discussione ma di trovare un posto tra i tuoi, senza giudicare, senza voler misurare. 

Questo atteggiamento etico nato nella culla culturale del Mediterraneo è migrato nei secoli e si realizza, oggi, tra le genti nomadiche delle steppe.      

Produce Energia vitale tra umani.  

Con o senza naso.

Si evolve in spirito di appartenenza, il primo requisito per definirsi un aggregato umano.

Ebbene, senza tutto questo non si attraversa il Gobi e nessun altro deserto al mondo.

Senza gli “Ettore” si rimane nella palude, senza dubbio.

Il primo che ho incontrato è stato Monkhoo.

Ex ufficiale di quella Armata Sovietica messa a controllare la parte meridionale del Gobi, quel sottile e mai ben delineato confine con gli amici-nemici cinesi.

L’Armata si era defilata quasi in silenzio nel mezzo degli anni ‘90 lasciando carri armati e munizioni divenuti inutili appena  la sigla CCCP aveva iniziato ad arrugginirsi perdendo di significato.

In quegli anni appena susseguenti al ritiro dei soldati sovietici dalla Mongolia, tutti, ma proprio tutti i pastori nomadi della steppa avevano “ereditato” un bel camion azzurro Zil, i più fortunati con l’ambito e raro orso cromato sul cofano. Poi un Uaz (meglio se modello furgon). Grigio, verde oliva o azzurro con l’interno di skai imbottito e la manovella per metterlo in moto in inverno.

Poi, ancora, le moto: bellissime Ural bianche e azzurre o le spartane sidecar verde rana brillante.

Oggi, mentre scrivo, tutti questi mezzi spettacolari han fatto la fine dei dinosauri; sostituiti da Toyota (Deo Gratias) e da plastificate moto cinesi.

I russi costruiscono roba brutta e solo apparentemente solida, ma qualunque coglione è in grado di metterci su le mani e farla camminare.

Non è poco.   

Oggi gli arricchiti nipoti di Genghis Khan, figli del denaro sporco di carbone, viaggiano su enormi vasche da bagno giapponesi e tedesche bruciando frizioni e piegando telai progettati per i lounge bar senza più sentire il canto e il profumo del loro bellissimo vento.

Peggio per loro!

Monkhoo era la fotocopia del Guizzardi di Borghese. Ricordo la prima volta che lo incontrai nel minuscolo ufficio incastrato nel Museo di Storia Nazionale proprio vicino al Parlamento, in pieno centro a Ulaanbaatar.

Era come me lo immaginavo: giubbotto nero, pesantissimo, di pelle. La sigaretta in bocca.

La perenne sigaretta in bocca diventerà il suo marchio.

Avremo percorso in 15 anni in giro per steppa e deserto almeno mezzo milione di km, credo di non sbagliarmi se affermo che lui abbia fumato un numero non inferiore di sigarette.

All’inizio fumava immondizia russa e quando non c’erano sigarette russe si fumava pure quelle cinesi che olezzavano di fontina valdostana.

Appena sono apparse in Mongolia le Marlboro è stato amore a prima vista.

Monkhoo come Guizzardi passava molto tempo sotto le Toyota.

Se vuoi anche uscire oltre che entrare nel Gobi, non puoi non avere con te uno che senta il bisogno di stare sotto la pancia della macchina.

Le Toyota sono come i cammelli bactriani, lo sentono se il cammelliere si prende cura di loro.


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