“ La montagna riapparve improvvisamente. Era a una quindicina di chilometri da noi. Pareva composta da un blocco gigantesco di pietra dalle pareti a picco, dritto sopra una collina forse formata dai detriti dello scoglio “.
“ La macchina saliva affannosamente lungo la strada carovaniera … cercavamo tra le rocce la stazione del telegrafo; senza accorgercene avevamo perduto la nostra guida, i fili, e ci trovavamo come abbandonati in quelle sinistre solitudini. Non riuscivamo a trovare il nostro rifugio”.“Le rocce da quel lato avevano un aspetto bizzarro di groppe di animali giganteschi. Ad un tratto, vedemmo luccicare al sole quattro globi d’oro. Erano uguali, tutti alla stessa altezza, disposti simmetricamente. Li guardavamo con una curiosità intensa e muta. … dopo qualche minuto fermavamo la automobile per guardare avidamente l’incredibile spettacolo di una città, d’una città dall’aspetto singolare, una città favolosa. La dominavamo dall’alto. Le rocce la cingevano tutto intorno e le facevano da mura. I globi d’oro culminavano quattro templi grandiosi che si allineavano a sud ”.
Da Pechino a Parigi – 96 illustrazioni fotografiche –reimpressione de La metà del mondo vista da un’automobile. – Luigi Barzini –

Non riesco ad orizzontarmi. Questa volta non ho idea di dove Borghese, Barzini e Guicciardi siano capitati. La descrizione delle montagne e della città -tempio può far ricordare il complesso di Ongii. Ongii Khiid monastero distrutto o meglio polverizzato dalle purghe soviet nel 1936. Oggi rimangono pochi sassi e un Buddha a ricordo dell’eccidio di massa, posto sulla rupe a picco nella montagna ricca di elementi ferrosi che attirano fulmini e ricordi malandati.

Ongii è la porta del deserto del Gobi. Tutte le carovane dirette a Kharkhoriin per vendere a Kubilaj e alla sua corte il corallo e le perle, le mappe astronomiche, i pensieri dei filosofi greci e persino le eresie di Nestorio, passavano da Ongii.


Attraverso i contrafforti di pietra metamorfica scura delle alture che circondano Ongii scorre, a regime torrentizio, l’ultimo corso d’acqua in superficie prima di perdersi e infossarsi nel Gobi. In questi anni lo ho visto spesso secco come la pelle di una vecchia di Sayan Ovoo e qualche volta possente di pioggia, mai arrogante, consapevole del suo valore in un posto come questo. A Ongii ci sono molti misteri che la Storia con la S maiuscola dovrebbe iniziare a indagare; io preferisco la storia minore, quella che racconta il vissuto quotidiano e si ricorda degli eroi senza corazza, bandiere e cognomi altisonanti. Proprio a Ongii, sulla sponda orografica destra, di fronte al complesso delle rovine ve ne è una dormiente. Si tratta di un telaio di automobile, diciamo riconducibile agli anni venti o trenta del ‘900. Vi confesso che quando lo vidi la prima volta circa 15 anni fa rimasi molto sorpreso. Mi illusi, allora, di aver ritrovato una parte della mitologica Fiat modello Uno di color rosso che fu dell’ancor più mitico Barone Von Ungern Steiner ! Meglio del ritrovamento di un Tarbosaurus Maleevi, infatti di questi ce ne sono molti un po’ più a sud; di Fiat modello Uno del Barone ve ne è solo una. Punto.

Ripulendo il telaio dalla cacca di capra ho trovato una incisione ancor ben leggibile sulla ruggine : Michigan…… Si trattava di un’auto americana, chissà forse una Pontiac, ma non la Fiat modello Uno. Comunque anch’essa avvolta nel mistero. I miei compari mongoli vaticinarono che dovesse essere degli anni ‘30, allontanando ancor più da me l’idea della scoperta della macchina di Ungern, negli anni trenta già bello fucilato e stecchito. Seppi poi da un amico russo che molto probabilmente la Fiat Uno rossa del Barone Von Ungern sarebbe stata requisita dai soldati ed utilizzata a Irkutsk da un qualunque colonnello dell’ Armata Rossa.
Per chi volesse appassionarsi al mistero dell’auto americana e di come e perché sia arrivata a Ongii, posso ancora dire che ho trovato anche un pezzo di carrozzeria, probabilmente un frammento di parafango: era verde, è nel mio ufficio a UB.


