“ Molti degl’intervenuti erano mercanti di thè. Anche il nostro ospite, Sinitzin, era mercante di thè. Tutti quelli uomini, semplici e dimessi, vestiti della camiciola di seta siberiana, calzati di enormi stivali, dal corpo rude, il volto barbuto e l’occhio dolce del mujik, erano milionari. Il passaggio del thè li aveva arricchiti “.

“ … Kiakhta è un villaggio di milionari. Nelle piccole case di legno dipinte di colori vivaci, allineate lungo i marciapiedi fatti di tavole, separate da cortili rustici ingombri di teleghe e di slitte, vivono una vita d’esilio delle famiglie che potrebbero avere un palazzo a Mosca o a Pietroburgo.

Il thè non passa quasi più affatto per Kiakhta; la sorgente della loro ricchezza s’è da qualche anno inaridita, ma esse rimangono. Rimangono sulla terra che le ha fatte prospere, rimangono vicino alla loro cattedrale sontuosa che rinchiude più tesori di tutte le chiese della Siberia. 

Le trattiene l’amore a quei luoghi, l’ignoranza del lusso, l’abitudine, ed anche la speranza. Una speranza vaga che l’antica via del deserto torni a popolarsi di carovane, che la piccola città ora tanto silenziosa, si risvegli ai rumore del lavoro.

— Non avete idea — mi diceva un funzionario della Dogana — di che cosa fosse Kiakhta sette od otto anni or sono! Vedete queste vie larghe e deserte? Esse non bastavano a contenere il gran movimento in certi giorni di arrivi e di partenze. 

Si scaricavano fino a cinquemila casse di thè al giorno. 

Passavano venticinque milioni di chilogrammi di thè all’anno. 

Cominciava in ottobre il gran movimento, e a novembre, a dicembre, a gennaio Kiakhta era tutta una gran fiera e una gran festa. Nemmeno alla notte si riposava. Tante volte nevicava, e la gente ne era tutta contenta perché la neve preparava la strada alle slitte. Sinitzin, e tanti altri, arruolavano nell’estate fino a cinquecento cammelli ognuno per essere i primi a fare arrivare il nuovo thè a Nishnii-Nowgorod, all’epoca della fiera. Vedete quei grandi edifici di mattoni, laggiù, dietro alla chiesa? Là erano i magazzini di deposito, il Gostiny Dvor

Centinaia di operai lavoravano notte e giorno a disfare i carichi della Mongolia, a scartare il thè avariato, a rifare le casse per la Siberia coprendole con pelli di cammello. Laggiù si tenevano le vendite all’asta, e passavano centinaia di migliaia di rubli come fossero stati kopeki. Partivano carovane immense di slitte verso il Baykal. Tutti i cortili erano pieni di cavalli. Alla sera poi, grandi feste da ballo, banchetti continui; a Troizkossawsk, la città vicina, v’era il teatro. Si beveva, si rideva, e si spendeva senza contare. Adesso, dopo due secoli e mezzo di quella vita, Kiakhta è morta.

— È passato poco thè quest’anno?

— Niente.

— Tutto per Vladivostok?

— Si, tutto per la ferrovia “.
Luigi Barzini: Da Pechino a Parigi – 96 illustrazioni fotografiche –reimpressione de La metà del mondo vista da un’automobile.

Si tratta di uno stato d’animo proprio dei russi e in particolare dei russi orientali, per capirci quelli che stanno a est del fiume Angara. Sanno bere la vita. Bevono la vita come bevono la vodka, rovesciandola e sprecandone la maggior parte nelle barbe ispide. Ballano battendo i tacchi degli stivali sulle assi di legno esattamente come han fatto i loro padri. Posseggono un calendario interno, inconscio, che li regola.  Sanno, o meglio, sentono che nell’arco della vita avranno un paio di quinquenni di baldoria, di alta marea, il resto sarà attesa.  Una attesa insostenibile per qualunque altro popolo.  La bassa marea russa e siberiana è cosa per poeti e avventurieri.  Potrebbero scappare, potrebbero andare via ma non lo fanno.   Sono trattenuti dal loro passato e dall’attesa nella certezza che valga la pena di aspettare il ritorno dei tempi belli, quelli della danza  e del perdere se stessi nella vodka con le donne.  
In fondo i siberiani sono stretti parenti dei Romani che celebravano i riti dionisiaci a Sabrata al tempo di Settimio Severo.


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