Tuiuq è un villaggio incantato in cui il tempo si è fermato. O meglio era un villaggio incantato. Lo è stato per secoli. Ha superato la barbarie delle guardie rosse, ma nulla ha potuto contro la stolta burocrazia della Cina con aumento del PIL al 17% annuo.





Tuiuq con le sue casette umili fatte di fango e paglia, i forni per il pane, i meloni più dolci del mondo e le donne con le gambe coperte da calze spesse, i capelli nascosti dai foulard con i disegni a losanga e occhi che ti bruciano quando le incroci.

Tuiuq era semplicemente perfetta. Appena parcheggiato il Toyota, fatti appena due passi oltre il portone di legno della famiglia che sempre mi accoglie per il pranzo, subito dopo il bimbo con le braghe tagliate perfettamente sul filo delle chiappe …. ecco apparire, a fianco del muretto di fango che si affaccia sul fiumiciattolo che taglia il paese, ecco il vecchio mercante.

Duro e attorcigliato come la pianta dell’uva che qui sistemano sotto la terra per difenderla dagli inverni. Ha la postura dell’obesus etruscus, ma è secco come un chiodo.


La giacca nera che ha visto tempi decisamente migliori conserva polvere millenaria. Il suo giaciglio sta nella via, qui si usa così; altri lo sistemano sul tetto della casa dove si accatasta anche la legna per l’inverno. I letti in legno e corda, a mio parere, rappresentano l’Islam persin meglio dei minareti. Sono l’unica soluzione nelle zone con clima caldo torrido.

Qui, nelle piane perforate dai Karez, gli acquedotti sotterranei scavati a mano nei secoli che portano l’acqua di neve dai monti del ”Re Scimmia “ sotto la superficie della depressione del Tarim basin fino alle oasi ombreggiate dai pioppi e dai filari di uva bianca. Uva con acini grossi come noci, dolci più dell’uva della Trinacria. I monti fatti di strati di polvere riflettono temperature veramente elevate, solamente la notte concede respiro.


Un caldo simile, forse ancor meglio, lo ho provato nel Dallol etiope. Stesse brande, stesso Islam, stesse teste, entrambi locati in depressioni tettoniche; diversi i continenti.

Il vecchio ha movenze lente e misurate che all’occhio dell’attento osservatore suggeriscono un passato di commerci, scambi e baratti nel mercato all’aperto che si tiene solo la domenica a Kashgar. Riesco a immaginarlo: giovane mercante di selle e finimenti per cavallo. Acquistate in Buriazia e rivendute a tre, quattro volte il costo. Di quel tempo andato conserva la postura, i gesti calcolati e l’occhio dal brillio rapace.
È una rockstar! Sa di esserlo. Tutti i turisti, specialmente i giapponesi e i koreani armati di Nikon di ultima generazione se lo contendono con la voracità dei piranha.
Lui che è attore consumato e non ha per nulla dimenticato l’arte del salamelecco, con un gesto ampio e deciso li blocca, indicando loro col dito ossuto di voltarsi.
Sul muro di fronte a lui, un cartello minuscolo di cartone, appeso a un chiodo piantato male, recita in perfetto inglese: “one photo = one dollar“.
Si è mercanti tutta la vita. Non lo ho mai fotografato, son mercante pure io.
Poi, ho lo stesso nome del mercante dei mercanti della Via della Seta.
Un tal Polo, forse il vecchio lo avrà intuito.
