“ Nella notte la luce vivida della luna invase la camera, e ne fui destato.  Mi sollevai sul gomito.  Fu allora che conobbi per la prima volta che cosa sia il silenzio assoluto.  Quel che noi chiamiamo silenzio, non è che l’assenza di certi suoni e di certe voci, non è che il tacere dei rumori umani“. “… ma là non udivo nulla; niente vibrava, niente viveva.  Ebbi l’impressione di non so quale vuoto favoloso, di un vuoto extra terrestre, ebbi il senso angoscioso di una sospensione sugli abissi dello spazio, l’incubo d’un isolamento infinito“.  
(Da Pechino a Parigi – 96 illustrazioni fotografiche -reimpressione de La metà del mondo vista da un’automobile.  – Luigi Barzini).

Capita spesso nel momento più intenso dell’estate, a notte fonda, quando il caldo non molla la sua morsa nel Gobi se non per un paio di ore prima dell’alba.  Capita di essere svegli e di osservare le stelle del cielo del Gobi da uno spicchio del toono, l’ apertura superiore della ger, della yurta.  Decidi allora di alzarti ed uscire dalla tenda alla ricerca di un respiro e accorgerti che le stelle sul Gobi sono troppe.  L’occhio notturno non riesce a sopportare a lungo questa ridondanza e infatti cede, cerca una luce più umile ma non la trova.  

È allora che ci si accorge di essere avviluppati in un mantello pesante di silenzio.  Il deserto ha smesso si respirare. Trattiene il fiato pure lui mentre i suoi sassi e le sabbie si raffreddano muti.  Certe notti di metà  agosto le stelle del Gobi son troppo vicine al deserto e cadono mentre i satelliti filano via dritti e stupidi.  Solo Leopardi, a distanza siderale e in un tempo non tempo, ha saputo tradurre in parole tutto questo silenzio.   … “Canto notturno di un pastore errante dell’Asia”.

Il silenzio assoluto è il canto del deserto.  Poi … Zorigoo ricomincia a russare, è ora di un giorno nuovo nel Gobi. Vado a farmi la barba.


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