“Ad un villaggio ci fermiamo a prendere acqua, il motore ha sete e anche noi. Una folla bonaria ci circonda … si abbassano fino a terra per guardare meglio il cofano del volano. Il volano evidentemente li preoccupa. Guardiamo anche noi cercando inutilmente che cosa possa attirate la loro attenzione. Qualcuno si fa coraggio e, a gesti più che a parole, ci chiede della spiegazioni. Ah, finalmente comprendiamo ! Essi domandano dove sia la bestia ! Il cavallo che non è davanti deve certamente stare dentro, tanto vero, osserva uno mostrando il secchio con mimica espressiva, che gli si dà da bere per un buco. Il difficile è capire come è incastrato l’infelice quadrupede ….
… ci siamo accorti che l’idea della bestia appare al contadino cinese come la spiegazione più logica del fenomeno. Soltanto i più intelligenti ritengono non si tratti di un cavallo, ma di un qualche animale favoloso fatto prigioniero da noi; e quando odono il roco urlo della tromba dicono : “Ecco la sua voce“.
(Barzini L., Da Pechino a Parigi – 96 illustrazioni fotografiche –reimpressione de La metà del mondo vista da un’automobile).

Avevo ed esibivo a quel tempo (noterete che sto iniziando a scrivere come un profeta ) un magnifico ed indistruttibile orologio Suunto. Frutto della algida e precisissima tecnologia scandinava. Bussola, altimetro, cronometri e calendari, barometro e mille allarmi. Mi stavo dedicando, a quel tempo, alla ricerca e mappatura dei Balbal, sperduti soldati di pietra con faccia mongola ma baffo turco e scimitarra di ordinanza. Semi-misteriose sentinelle piantate nella steppa.

Piantate è termine corretto in quanto questi Balbal si trovano infissi nel terreno come se fossero paracarri. Non posseggono gambe o stivali. Vivono di vita propria dalla cintola in sù e ammoniscono chiunque li incontri. Il problema sta proprio nel capire quale sia l’ammonimento, l’ordine, mai il consiglio che ci ricordano dalla loro antichità.



Eravamo, a quel tempo, giunti in un micro villaggio di poche stamberghe piantato negli Altai a uno sputo dal bordo dei confini di Cina e Russia. Direi più Russia, ma è questione di mezzo chilometro. Qui erano abituati a veder arrivare gente nuova solo a fine estate, quando il Zil (camion russo di media stazza) del maestro arrivava da fondo valle con famiglia e yurta (ger) al seguito per iniziare la scuola prima che la neve li imprigionasse tutti fino a maggio inoltrato.

Grande fu lo stupore nel vedere scendere dal Nissan Patrol modello Africa un nasone con occhiali scuri che poteva anche spaventare a prima vista, ma regalava caramelle come se non ci fosse un domani. Nel giro di cinque minuti avevo già il mio bel seguito di bambini. Il fatto è che, a quel tempo, il mio orologio irto di allarmi si è messo a suonare. Spariti tutti, tutti spariti. Mai visto né sentito un suono simile prima. Le caramelle han, poi, avuto la meglio. Dormirò ospite della scuola in miniatura accostando tre brande da bambino. Infatti, capirò dopo, il villaggio era punto di raccolta importantissimo, vi erano scolari che qui giungevano da rilievi ancor più alti e sperduti e qui avrebbero passato l’inverno a studiare.
Concludendo va detto che nell’orologio entrava la polvere borotalco del Gobi. Son passato ai Casio e da quel momento posso definirmi un uomo felice e realizzato.
