Sopra un’altura si erge una gran roccia, strana, simile al rudere di un castello medioevale, con delle punte aguzze che ricordavano delle rovine di torri.  Il castello è forato; dalla valle si vede il cielo attraverso l’apertura dello scoglio; regolare, simile all’apertura d’un qualche ponte massiccio…. i mongoli che passano nella valle la guardano con un rispetto quasi religioso.  Vi è una leggenda intorno a quella roccia. Un giorno Cinghis Khaan, il Conquistatore, che è un Dio nella memoria dei mongoli, passando alla testa di un esercito per quella stessa strada che noi percorrevamo in automobile, si fermò sotto al bizzarro castello creato dal caso, e come riconoscendovi un significato guerresco e ostile, tolse una freccia alla faretra, la adattò alla corda dell’arco, e la scoccò.  La freccia colpì in pieno la roccia.  La conseguenza di quel colpo imperiale?  Il buco.  Quell’apertura da ponte non è altro che la ferita alla montagna fatta da Cinghis Khaan.  È vero che la ferita è tanto grande che un uomo a cavallo, e forse anche in automobile potrebbe passarvi attraverso, ma chi può mai dire quanto fossero grosse le frecce di Cinghis Khaan e quanto potenti le sue braccia ? “.  
(Da Pechino a Parigi – 96 illustrazioni fotografiche -reimpressione de La metà del mondo vista da un’automobile.  – Luigi Barzini),

All’interno di un certo pensiero collettivo superficiale, scolastico e ripetitivo vive l’immagine comune  che si ha di Genghis Khaan. Certo non lo aiuta la ciclopica statua equestre in laminato di alluminio attira fulmini che il governo mongolo gli ha dedicato ad alcuni chilometri a est di Ulaanbaatar, sulla strada per il Terelij.  

Mi piacerebbe provare a sminare un poco questa concezione comune iniziando proprio dal nome.  In Italia diciamo e scriviamo: Genghis Khan, il suono risulta rotondo, quasi accomodante. Musicale come è la lingua italiana. In lingua mongola tutto cambia e diventa: Cinghiis Khaan.  La sillaba “ci” è dura e ancor più dura e quasi acidula diventa la ghi che perde la morbidezza dell’h a cui son abituate le orecchie italiche. Cinghiis diventa un suono simile a un fischio, al fischio prodotto da una freccia !  Se proviamo a guardare oltre la figura del conquistatore sanguinario, come se Giulio Cesare fosse stato un bonaccione accomodante, troveremmo delle pieghe minuscole ma, a mio parere, interessanti.  Per esempio Cangrande ( scritto proprio così) di Verona, legato imperiale, per quale motivo avrebbe ribaltato il proprio nome trasformandolo in Gran Khan? 

Oppure perché il Comune di Siena medievale dedicò la copertina di un suo annale alla figura di un Chiliarca mongolo?  Comandante delle truppe senesi e antesignano dei bodyguard e della security?  
Genghis Khan seppe scendere dal cavallo con cui aveva disegnato l’impero più vasto perché aveva capito che un impero conquistato a cavallo non si poteva governare da cavallo. Altro che barbaro assetato di sangue, quasi tutti i palazzi sul Canal Grande ( Canal Khan ) son stati tirati su con i soldi derivati dalla pax mongolica.  

Meditate gente, meditate (copyright Enzo Arbore, un grande pure lui).


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