“ La montagna è già per se stessa un mistero alle menti semplici, è uno slanciarsi della terra verso il cielo; le grandi vette sono in contatto con la divinità.

… il segno di una volontà suprema, un’opera divina creata per ragioni imperscrutabili, e perciò terribili.

Fu ed è rifugio di eremiti.  Ogni cavità della roccia è un santuario e vi si vedono scolpite massime sacre in antichi caratteri cinesi, ed altre, più antiche ancora, in tibetano, in mongolo, in mancese.

Più addentro nella gola, sulla montagna in punti inaccessibili, sopra dei macigni franati giù dalle vette, il pio scalpello ha impresso l’immagine del Buddha, ha ricercato nei contorni del sasso i contorni della statua, ha dato alle pietre la fisionomia austera e serena della dolce divinità.

Qualche enorme immagine del Buddha è scolpita sulla montagna stessa, prodigiosamente.

Non vi è una sola traccia del lavoro umano che non sia una affermazione di fede.

Passando di là ogni anima ha detto: credo… “.
(Barzini L., Da Pechino a Parigi – 96 illustrazioni fotografiche –reimpressione de La metà del mondo vista da un’automobile).

Questa volta la mia memoria parte da una giornata di fine primavera piena di nebbia sulle montagne del Qinghai  che i tibetani chiamano Amdo.

Qui  la infinita catena del Kunlun, famosa e conosciuta nel mondo, incontra la catena Tangula, non so più dire se il passo da me percorso appartenesse a questa o a quella.

Per un cartografo pecca imperdonabile, per un viandante una inezia da nulla.

Queste montagne contengono uno scrigno: il monastero di Tongren.  

Un Potala in miniatura meta di silenziosi fedeli che eseguono la Kora salmodiando mantra che molto probabilmente sono stati qui deposti dal passaggio del Sutra del Diamante mentre dall’India veniva portato a Mogao e alle sue grotte nascoste.

Molte sono le donne che fanno ruotare  con antica maestria i pesanti rulli di preghiera.

Le donne qui sono eleganti nel portamento e vestono panni ricchi, ma sono i gioielli che hanno attirato la mia attenzione.

Orecchini, anelli e collane di un argento senza tempo arricchite dalle pietre del turchese, dal corallo e ambre grosse come acini d’uva siciliana.

Bracciali di malachite o di giada di Hotan, la più preziosa, quella color latte e ancora azzurrite e il topazio dai riflessi viola come quelli venduti dai disonesti mercanti del mercato di Kashgar che hanno i loro negozi proprio di fianco alla imponente piazza della Moschea Id  Kah.

Monili passati da una generazione all’altra, che a ogni generazione tornano a fare lo stesso giro in una giostra sacra che mai si ferma e nello stesso tempo pare sospesa, immobile, immutabile.

Ho notato che in qualunque religione i fedeli che più si impegnano nell’esercizio fisico richiesto dalla preghiera sono quasi sempre quelli ricchi, che mi sia perso qualcosa?

I poveri, al contrario, si muovono con gesti asciutti o non si muovono per nulla. Che c’entri qualcosa con la storia del cammello e la cruna dell’ago?  Ma!!

Nel pomeriggio ancora umido di nebbia scendiamo lungo i meandri della strada che ci porta a Xining, dove pare che Marco Polo abbia curato gli interessi di Kubilaj per alcuni anni.

Finalmente buchiamo le nuvole e ritroviamo il sole ed è ora di pranzo.

La valle si allarga di poco e noto una costruzione umile vicino ad un tempietto  scavato nella roccia nera e lucida che pare ossidiana ma non lo è perché invece  si tratta di una metamorfica ortoderivata  del cavolo.

Sembra a tutti gli effetti quella che in Mongolia chiamiamo guanz, nelle Langhe dicono ostü e nel Mid-West americano chiamano Diner.

Mi avvicino, entro. Tutto buio, silenzio. Do una voce, nulla. Mi volto e nella penombra vedo delle mele.

Sono mele povere, piccole e tutte raggrinzite, bianche e rosse. Sono stese con ordine disordinato su un piano di legno.

Sembrano uscite da un racconto di Fenoglio, a 10.000 km dalla Langa c’è una tranche de vie della “Malora“.

Lo so cosa ci fanno lì quelle mele, hanno superato l’inverno, esattamente come quelle dei contadini del basso Piemonte neanche troppo tempo fa.

Non sono tante, saranno meno di cinquanta, dovranno bastare fino all’arrivo di quelle nuove.

Uno scricchiolio, lieve, quasi impossibile da sentire.  Un’ombra si muove e appartiene a una vecchia;  era stata tutto il tempo nell’ombra, immobile a osservarmi.

Molto probabilmente la ho spaventata, sicuramente la ho spaventata, grosso come un gorilla con gli occhiali da sole scuri. Lei è molto più che minuta, è lillipuziana.

Siccome so che qui non parlano il mandarino ma dialetti locali, e so che io il mandarino non posso dire di saperlo parlare, massacrare sì, parlare no, mi aggiusto con le mani.

Italian style.

Sempre supponendo di trovarmi in una di quelle osterie per camionisti di camion Geely, mi porto la mano alla bocca per farle capire che voglio mangiare.

La vecchia mi scruta in silenzio e valuta che un gorilla occidentale necessiti di un sacco di cibo per funzionare.

Prende uno straccio e inizia a riempirlo di mele.

Mi stupisco e vergogno nello stesso tempo!

Quella non è una guanz, non è un ostü, non è un Mc Donald: è la casa della madre del Lama della montagna.

La fermo con un gesto assai elegante per un gorilla, non voglio le sue mele !  

Povera donna, era disposta a darmene una quantità superiore alla metà di quella che le avrebbe permesso di passare la fine dell’inverno.

Senza neanche pensarci sù un attimo era disposta a privarsi della sua riserva di cibo per nutrire per pranzo un gorilla straniero.

Scavo nelle tasche dei pantaloni e trovo una caramella al ribes.

Sono caramelle che frequento dall’infanzia, sono grosse e avvolte in carta rosa.

Le produce o le produceva la pasticceria Bertaina proprio sotto il portico di Piazza Maggiore se siete in Europa.  Altrimenti dovete andare nella piazza del tamburo a Xian, la mia proveniva da lì. Solo un esperto esteta potrebbe notare le sottili differenze con quella monregalese..

Meritano il viaggio, sia a Xian che a Mondovì.

Gliela porgo mentre continuo a rifiutare le mele.

Una mano antica esce dal buio, scarta la caramella, piega e conserva la carta e assaggia.

Dal buio esce una melodia, la vecchia mi sta ringraziando cantando un sutra.

La caramella al ribes di Bertaina ha una nuova estimatrice.

Me ne vado.

Non ho mai visto il suo volto. 


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