(Barzini L., Da Pechino a Parigi – 96 illustrazioni fotografiche –reimpressione de La metà del mondo vista da un’automobile)
“ … Il principe Borghese aveva percorso in sei giorni 500 km a cavallo, esplorando tutti i sentieri che conducono a Kalgan e misurandone le incassature per mezzo di un bambù tagliato della larghezza dell’automobile.
In molti punti la strada si sdoppiava, si ramificava, ed era necessario conoscere tutti i passaggi per scegliere il migliore. Il principe tornò a Pechino con tutto un piano topografico nella sua mente.
Per il resto, Le Matin aveva già fatto una comunicazione esplicita: non vi sono formalità alle quali assoggettarsi, né regolamenti dei quali imbarazzarsi.
Si tratta di partire da Pechino per Parigi in automobile e … d’arrivare“.
Punto.

“Di 25 vetture iscrittesi per la corsa, soltanto 5 si presentarono alla prova.
Erano: un triciclo CONTAL da sei cavalli, 2 DE DION BOUTON da 10 cavalli, una SPYKER da 15 cv e la ITALA DA 40 cv.
Le prime tre francesi, la quarta olandese.
Una vettura grande e pesante e quattro più deboli ma leggere.
In Francia, dal primo annunciarsi della gara, tutti i competenti si erano trovati d’accordo nel ritenere che un tipo di piccola automobile avrebbe avuto le migliori possibilità di successo.
Il principe Borghese aveva ritenuto, per la pratica di lunghi viaggi in automobile, che una vettura di gran forza avrebbe potuto sopportare meglio, in virtù della sua solidità, i disagi di una avventurosa traversata e che la riduzione di potenza non fosse compensata dalla diminuzione del peso.
Questa gara di due tendenze, questa prova pratica di due teorie, formava una delle più importanti caratteristiche della corsa.
La macchina scelta fu una del comune tipo italiano 20-40HP.
Al motore e allo châssis non furono portate modifiche.
Soltanto gli angoli del telaio e le molle furono rinforzate, e la macchina fu montata su ruote più alte e più forti delle ordinarie. Per offrire maggiore resistenza agli affondamenti si munirono le ruote di pneumatici del massimo diametro, della fabbrica Pirelli di Milano.
Il principe teneva che tutto nella macchina fosse italiano“.

– commento: come è cambiato il mondo ! –

“La carrozzeria consisteva in due sedili anteriori e in uno posteriore per me (Barzini), ai lati del mio sedile erano assicurati, con cerchi di ferro, due lunghi serbatoi cilindrici per la benzina, capaci di 200 litri ognuno.
Dietro al sedile un cassone come quelli da artiglieria per gli attrezzi, sul cassone un altro serbatoio a cilindro destinato all’acqua.
La mancanza di spazio e la necessità di non aggravare il peso sull’assale posteriore ci costringe a ridurre i bagagli al minimo necessario: 15 kg a testa.
Un serbatoio per l’olio, capace di 100 litri, era allocato sotto il mio sedile..
Sotto i sedili anteriori un ripostiglio era destinato alle provviste da bocca, consistenti in gran parte in carne di Chicago.
Una singolarità dell’automobile erano i parafanghi, formati da quattro lunghe e solide assi ferrate tenute ai montanti da una giuntura a cerniera, facili a smontarsi e destinati a servire da passerella sopra ai terreni paludosi e le sabbie.
Oltre alla Itala si iscrissero alla gara anche una vettura olandese, la Spyker, un triciclo francese Contal e due De Dion Bouton“.

Da museoauto.it –
“La Spyker mandò Godard, il personaggio più simpatico della Pechino-Parigi, “ …è un caposcarico senza eguali, sempre in cerca di una partita da giocare, di un ballo da organizzare, di una serata o di un divertimento da offrire”, così lo descrisse Du Taillis, che con lui condivise una parte del viaggio sulla vettura olandese.
Di professione fantino, con qualche esperienza da automobilista, era in realtà un avventuriero, perennemente alla ricerca di espedienti più o meno legali per campare e campare divertendosi: forse non l’ideale per affrontare un viaggio così tremendo, che imponeva grande organizzazione e grandi mezzi.
Godard, spiantato in canna, già a Parigi si venderà la riserva di pneumatici e di pezzi di ricambio di cui lo aveva fornito Jacobus; e per spedire la macchina via mare fino al porto di Tientsin, 3000 franchi, ricorse al porto assegnato, rimandando così il problema di saldare il conto, che sarà saldato da un altro.
Du Taillis è affascinato da Godard, dal suo allegro coraggio, dal suo totale sprezzo del pericolo che rasenta l’incoscienza e la millanteria.
Ma anche dalla sua lealtà, che dimostrò più volte, testardamente, nel corso del raid “.
Questa è la mia opinione circa i “Godard“ intesi come categoria umana.
Credo che nei deserti questo fenotipo di persona trovi la sua giusta incastonatura e abbia il suo perché. Tanto Borghese & Soci rappresentano Thesis, la soluzione dei problemi mediante il metodo della ragione quanto Godard rappresenta Metis: l’astuzia della ragione.
Gente come Godard possiede in sé l’elemento selvaggio, caratteristica che lo avrà sicuramente ostacolato nel mondo cosiddetto civilizzato, ma che nel deserto si trasforma in audacia.
Audacia che apre il cancello alla capacità di decisione immediata e alla risoluzione del problema tramite intuito.
Perle preziose, queste, nel deserto dove la ragione risulta spesso affaticata e offuscata dal caldo e dalle privazioni.
I “Godard“ non vincono le corse, quelle le vincono i Principi.
I “Godard“ ti salvano la vita quando i Principi perdono il controllo della situazione.
In questi anni di deserti ho incontrato molti Godard e da tutti ho imparato qualcosa.
Nessun Principe, si vede che erano finiti.
