“ L’aria era calma. Scendemmo in una pianura sabbiosa. Una piccola carovana di carrette si era accampata.
… improvvisamente la calma grave dell’aria si interruppe, e un colpo impetuoso di vento passò ululando. Era l’avanguardia di un uragano, che dopo pochi minuti si abbatté con furore sulla pianura, sollevando nubi accecanti di polvere. La direzione del vento mutava turbinosamente. Si fece una oscurità sinistra. Era l’addio della Mongolia. Assistevamo ad un fenomeno abbastanza frequente in queste regioni: ad una tempesta di sabbia. Ci trovavamo in un vortice d’aria. L’automobile ne era tutta scossa; noi ci tenevamo sotto vento, vicino alla macchina. La sabbia scorreva al suolo, come un fluido, formava delle correnti gialle, si innalzava a mulinelli. La massima violenza non durò che pochi minuti; e dopo mezz’ora il vento cadde del tutto, con la stessa rapidità con la quale era venuto vedemmo l’uragano allontanarsi, come si vede sulla terra l’ombra delle nubi “. Luigi Barzini: Da Pechino a Parigi – 96 illustrazioni fotografiche –reimpressione de La metà del mondo vista da un’automobile.
Le tempeste di sabbia sono, assieme al miraggio delle montagne d’oro, due fenomeni ipnotici. Si rimane impalati ad osservare il loro giungere magnifico e nello stesso tempo terribile.
A nord è più difficile prevedere il loro arrivo perché l’aria è di per sé umida, nel Gobi non si usano gli occhi ma il naso. Si sente l’odore nella polvere, precisamente qualche istante prima del sorgere del sole. Poi, se si possiede anche un Casio con barometro, la cosa si fa ancora più facile.
Gli occhi servono qualche ora dopo e devono essere giovani e attenti : se sei nel deserto del Gobi tieni d’occhio l’orizzonte piatto e infinto verso nord-ovest e se vedi un sottile segno, come una sottile riga tracciata da una matita … ebbene hai circa un’ora per raccattare le tue cose, smontare tende e quant’altro, parcheggiare la tua Toyota col culo controvento e aspettare la tempesta.
Fenomeno completamente diverso quello delle montagne d’oro, originato pure questo dal meteo, egualmente magnifico ed egualmente terribile un tempo.
Mi riferisco al tempo della Via della Seta.
Allora carovane che contavano anche più di cento cammelli attraversavano il Taklamakan provenienti da Bukhara e Samarcanda o dall’India per portare a Khakrhoriin alla corte di Mongke Khan, spezie, perle, cristalli e altre meraviglie. I migliori erano i genovesi che partivano dai funduq sul Mar Nero. Kharhoriin aveva un quartiere genovese ai tempi e il Ducato genovese era la moneta di riferimento tra i mercanti provenienti da Kashgar, come da Irkutsk o dalla tunisina Kerouan.
A volte queste carovane si imbattevano in un fenomeno atmosferico assai raro nel Gobi e più frequente nel Taklamakan: il miraggio delle montagne d’oro.
Il fenomeno meteorico consta di diverse fasi in successione: in primis occorre trovarsi subito dopo un intenso temporale estivo, quando l’aria è gravida ancora di umidità nonostante sia già cessata la pioggia. Poi occorre essere all’ora del tramonto ed avere il sole alle spalle. Infine occorre che tra voi e il sole che tramonta ci siamo le spesse nubi scure e cariche di pioggia del temporale che vi ha superato. Manca ancora un particolare: come il sipario di un teatro, le nubi temporalesche che oscurano il cielo devono essere sollevate da terra, devono lasciar uno spiraglio tra loro e il terreno.
Se tutte queste fasi collaborano in armonia tra loro, alcuni tra gli ultimi raggi del sole riescono a passare la feritoia del sipario nuvoloso e incontrano l’aria umida che le devia, le riflette e le rifrange creando un fascio di luce simile a quello di un proiettore, che va a posarsi sulle anonime colline della steppa di fronte a voi.
Ecco il miraggio! Improvvisamente alcune colline si colorano e scintillano come se fossero completamente fatte d’oro. Oro lucente, montagne d’oro.
Vi assicuro che l’effetto è estremamente realistico e se non fossi stato un seguace dell’Illuminismo ci sarei cascato completamente.
Il mio pensiero va allora a quei carovanieri che avevano prima attraversato il deserto del Taklamakan che tradotto male significa : “ … se entri, non esci “, passato il Gobi che significa “vuoto”. Questa gente aveva superato banditi, predoni, tempeste, burocrazie varie ( la cosa più pericolosa a mio avviso ), malattie di quelle serie, invasati religiosi, sultani e capitribù nomadi, pulci e zecche di ogni tipo e misura …
Subìto il caldo mortifero di due deserti, l’arsura della polvere di due deserti, i differenti demoni di due deserti e …. improvvisamente si trovavano di fronte la montagna d’oro! Ditemi voi se foste stati un uomo del trecento e aveste passato quello appena descritto, cosa avreste fatto? Avreste ringraziato il vostro Dio che aveva visto le vostre piaghe e fatiche ed aveva deciso di ricompensarvi. Non potevate pensare altro. Quindi questa povera gente mollava tutto, abbandonava la carovana danzando, per dirigersi verso la montagna d’oro. Non importa se il sole tramontato aveva spento le colline davanti ai loro occhi. Domani saremmo stati tutti ricchi.
Si perdevano, impazzendo nella vana ricerca di quell’oro che aveva dato soddisfazione, per pochi istanti, a tutte le loro ambizioni, superato in magnificenza i loro sogni di ricchezza, sopito la loro sete, dato valore alle loro sofferenze.
Così nascono le leggende dei deserti, da miraggi che sono fatti da frammenti di realtà matrigna.