“Di Hsin-wa-fu vi è una cosa che io non dimenticherò mai; l’ufficio telegrafico. In una via solitaria, dentro le mura, i fili telegrafici scendono dai loro pali sopra una casa silenziosa come un tempio. Nel tempio trovai due telegrafisti molto assorti in una importante e delicata operazione che la legge cinese ha recentemente proibito; essi fumavano l’oppio, sdraiati sopra il kang, con le loro pipe a clarinetto in mano, avvolti nel fumo profumato, denso e grasso del narcotico.

“Posso spedire un telegramma?”. Silenzio. Mi sedetti. Dopo qualche minuto ripresi: “Avrei un telegramma da mandare“. Uno dei fumatori mi si apprestò, si affacciò all’uscio e gridò che si portasse del tè. “ Volete trasmettere un mio telegramma? “, esclamai ancora. Delle idee cominciavano a farsi strada nella mente del funzionario imperiale. Mi guardò e mi disse in un inglese approssimativo: “noi siamo in comunicazione con Kalgan e con Pechino. Tre ore al giorno. Dalle sette alle undici … “.
“Benissimo, il mio telegramma va in Europa. Accettate telegrammi per l’Europa ?“. Silenzio. Là arrivò il tè. Ne sorbii una tazza mentre mi preparavo a scrivere il dispaccio. Poi ripetei: “Accettate per l’Europa si o no?“. L’impiegato placidamente mi squadrò come se mi vedesse allora soltanto e mi replicò con serenità: “ Europa? Noi siamo in comunicazione con Kalgan e con ….. “.
(Barzini L., Da Pechino a Parigi – 96 illustrazioni fotografiche –reimpressione de La metà del mondo vista da un’automobile).
Confermo tutto, vissuto sulla mia pelle diverse volte a un secolo di distanza.
Soprattutto lo sguardo : “ … come se mi vedesse la prima volta “.
Khujirt, ridente paesello “al vago declivio”, sede di Sanatorii. Il sanatorii per i Russi, già prima di Melenkov per passare ai tempi di Kruscev e poi ancora a quelli di Breznev, poteva considerarsi come una sorta di terme per i funzionari governativi. A Khujirt un enorme batolite magmatico in profondità scalda la falda acquifera e produce una ottima acqua oligominerale. Ma non è oggi il giorno in cui voglio parlare di Russi e Sanatoriy. Oggi parlo della banca di Khujirt nei primi anni 2000. Intanto va detto che a Khujirt si trovavano, a quei tempi, le migliori motociclette vintage russe prima dell’avvento di quelle porcherie costruite dai Cinesi. Infatti mi attendeva sulla soglia della banca una spettacolare Mod.’59 color granata.

La cosa mi aveva assai rallegrato e mi disponevo quindi a varcare la soglia dell’istituto bancario ricco di buonumore. Tipico arredamento da ufficio russo epoca guerra fredda, colori pallidini e uso indiscriminato di perlinato di bassa qualità. Vuota. Nessuno. Nessun impiegato all’interno, ma tutto pareva in attività. Come se i bancari fossero stati rapiti dagli alieni. Poi, sento una risata e mi volto. Saldate al termosifone, pure lui russo, tre vecchiette cicciottelle. Chiacchieravano tra loro assolutamente indifferenti alla mia presenza. Passano alcuni minuti di immobilità assoluta, quando una con un foulard rosso con rose ricamate si accorge di me. Stoppa la sorpresa con un gesto istintivo tipico di queste parti: si copre la bocca con la mano e scappa fuori dalla banca. Silenzio, immobilità, vuoto cosmico, De Chirico mi rimbalza in testa.

Poi, si spalanca la porta con forza, appare un satiro mongolico con le mani sporche di grasso della trasmissione di un Uaz; lo riconosco dall’odore (il grasso ). È il direttore. Adesso comprendo la funzione delle tre donne: sono contemporaneamente la security e il servizio allo sportello. Quando entra un cliente si attiva il meccanismo di recupero del personale d’ufficio dell’istituto.
Da qui in poi la storia mia con il satiro meccanico – bancario è pressoché uguale a quella di Barzini col telegrafista.
Son passati diversi anni, l’asfalto è giunto a Khujirt. Oggi non c’è più il perlinato, ora è tutto laminato di alluminio. All’interno anche il termosifone russo non c’è più. Una decina di giovani, eleganti, efficientissime, pettinatissime ragazze ti accolgono con perfetto accento inglese studiato all’università di Ulaanbaatar insegnato loro dalla mia amica Zula.
Tempus fugit . Il mio.
