“… dovemmo accorgerci che il radiatore, questo polmone dell’automobile non respirava bene. Per il gran calore, la corrente d’aria prodotta dalla velocità non riusciva più a rinfrescare l’acqua che circola attorno ai cilindri, e l’acqua s’evaporava con un soffio violento e continuo dalla chiusura del radiatore. Da lungo tempo, ci pareva almeno lungo tempo, cercavamo dei pozzi per rinnovare l’acqua del motore. Non volevamo adoperare quella del nostro serbatoio, se non costretti da una estrema necessità. Il serbatoio conteneva appena una cinquantina di litri ed era prudente serbarli; una rottura della macchina poteva farci naufragare, e quella provvista sarebbe stata la nostra salvezza “. “ Un pozzo ! … vedo la terra, ha una macchia scura. Esclamava di tanto in tanto qualcuno di noi. “ Si, si “ rispondevano gli altri. Le illusioni sono comunicative “. “Non tardammo dopo alcune decine di chilometri, a ritrovare dei pozzi, circondati dagli accampamenti delle carovane.



Vicino a uno di quei pozzi, vi erano due cinesi addormentati. Forse due disgraziati che rimpatriavano a piedi a piccole tappe. Non possedevano nemmeno una tenda per difendersi dal sole. Avevano per unico bagaglio pochi stracci e un sacco. Seminudi, sdraiati sulla sabbia che pareva incandescente, il capo scoperto, dormivano. Che cosa era il nostro viaggio paragonato al loro? Ricordammo quel pellegrino incontrato dal principe presso Nan-Kow, quell’uomo avrebbe attraversato il deserto baciando la terra ogni tre passi, e pensammo che i cinesi incontrandolo avrebbero forse avuto di lui quella pietà che provavamo per loro “.
Da Pechino a Parigi – 96 illustrazioni fotografiche -reimpressione de La metà del mondo vista da un’automobile. Luigi Barzini.

Circa cento anni dopo mi trovavo a passare per le medesime piste. Va detto, a onor del vero, a bordo di un Toyota Land Cruiser sei cilindri provvisto di un tetto e di un gran bel sistema di aria condizionata. Non incontrai due cinesi, quella volta, bensì un solo, solitario, giapponese ciclista. Se i due cinesi di Barzini dormivano sfiancati dal caldo, il “mio“ giapponese pestava sui pedali della sua mountain-bike come se non ci fosse un domani. Ci incrociamo e lui non alza nemmeno lo sguardo, mi accorgo che non ha nemmeno uno zaino con sé . Invertiamo la rotta e lo raggiungiamo. Niente, come se fossimo fantasmi, eppure il Toyota pesa più di 2000 chili. Lo superiamo ancora, scendo e lo aspetto. Solo allora si ferma. Gli offro una bottiglietta d’acqua. La rifiuta. Penso sia pazzo. Restava solo da capire se era partito dal Sol Levante già pazzo o se lo era diventato in itinere nel Gobi. Non che la cosa mi interessasse molto, non di meno esiste una norma non scritta nei deserti di tutto il pianeta che impone di prestare soccorso a chi si trovi in difficoltà. Sputacchiando con voce roca il ronin ciclista mi fa capire che è diretto a Khongorin Else. Bel posto, niente da dire, dune di sabbia alte anche 300 metri.

Disegno sulla ghiaia dove siamo e dove vorrebbe andare; occorrono circa 6 ore di viaggio, ma in Toyota! Solo allora pare risvegliarsi dal suo sogno-incubo ciclistico. È completamente disidratato. Sukhee e Zorigoo lo catturano e buttiamo la sua bike sul tetto del Toyota.
Lo depositiamo a Mandalovoo, presso un vecchio amico maestro di lotta che provvederà a contattare Ulaanbaatar e da lì l’ambasciata giapponese.

Ripartiamo e lo dimentico. Circa 20 giorni dopo in ufficio riceviamo una missiva bordata d’oro e d’argento. Il console del Giappone a Pechino ci ringraziava per aver recuperato un alto dirigente, manager della Nissan.
Ecco perché non si fermava, avevamo una auto della concorrenza.